mercoledì 17 marzo 2010

Il Manifesto del Partito Econometrista

Tranquilli, non sto per propinarvi le note di Statistica I di quando ero un imberbe dottorando. Non sono qui per salvare nessuno da una presunta ignoranza. Solo che, essendo pignolo, ho la passione per i puntini sulle "i". E dunque, dovete sapere che vengo or ora da alcuni sedicenti forum di finanza, sui quali ho ho letto delle cose assolutamente singolari, tipo che l'econometria non si presti allo studio delle serie finanziarie, in quanto "come dice la parola stessa, è nata per analizzare l'economia" (sì, avete letto bene, basta stroppicciasi gli occhi e darvi pizzicotti). O ancora: che invece, no, in principio potrebbe anche funzionare ma solo con dati a frequenze basse, tipo un mese o un trimestre (ancora a stroppicarvi gli occhi?).
L'econometria è uno strumento. Non sopperirà mai alla mancanza di intuito, o alla carenza di sensibilità nell'analizzare le varie fasi di mercato. Il più delle volte, a ben vedere, è uno strumento "negante": cioè ha l'effetto di smontare miti e convinzioni che la moltitudine dei chiacchieroni strologanti danno per assodate e incrollabili (tipo: che una certa media mobile anticipa non so cosa, o che i paesi emergenti hanno ormai realizzato il decoupling da quelli sviluppati). In questo senso, l'econometrico si chiama fuori dal coro e non prende parte alla noiosa querelle tra analisti tecnici, analisti fondamentali e macroeoconomisti. In particolare direi che l'econometrico:
1) guarda con curiosità all'analista tecnico (quello quantitativo ovviamente, del graficista non vuole nememno sospettare la teorica esistenza) perché ritiene che nella sua imperterrita ricerca di indicatori vari possa aver colto una dinamica o una regolarità empirica degna di essere verificata in senso inferenziale. Perché, si sa, l'occhio vorrà anche la sua parte, ma spesso inganna...

2) non disdegna di dialogare con l'analista fondamentale, perché grazie alla sua esperienza può aver identificato dei driver di performance di questo o quel titolo, che meritano di essere testati; certo, ha anche il compito ingrato di comunicare alcune ferali ntozie, tipo che col cavolo che la performance di Fiat è determinata dai suoi earnings

3) si accompagna volentieri al macroeconomista, del quale apprezza molto le raffinate analisi su GDP e quant'altro; fermo restando, ahimé, che se lo strategist di turno ha perfettamente compreso il funzionamento dell'economia USA ma non ha chiarito i link fra questa è lo S&P 500, beh allora di TALF, debito pubblico, Non farm Pay Roll e compagnia bella non si sa proprio che farsene

In conclusione, quella dell'econometrico finanziario è una posizione tendenzialmente agnostica. A priori non rifiuta alcun approccio, purché chiaramente abbia una base quantitativa (o quantitativizzabile) da cui partire. Ciò che invece respinge, e non potrebbe essere altrimenti, è la mis-interpretazione dei fondamenti della disciplina non solo econometrica, ma statistica in senso generale. Detesta i luoghi comuni e le uniche idee a priori che ammette sono quelle espresse in termini bayesiani (e anche lì dipende dalla scuola di provenienza...). Chiede conto delle affermazioni pronunciate con troppa faciloneria e sicumera, sottoponendole al rigore dei dati empirici, che purtroppo spesso parlano in modo fin troppo chiaro e, ahimè, spietato. Mette in evidenza le contraddizioni logiche alla base di decisioni d'investimento basate sulle "sensazioni" o su una presunta vulgata in virtù della quale, ad esempio, "quando cresce il PIL le borse vanno su" (sì, auguri).

Orbene, se mettete insieme tutte queste considerazioni, non avrete difficoltà a capire perchè siamo la categoria più odiata di tutte!

E tuttavia, di questo rancore ci facciamo orgogliosamente un vanto. D'altronde signore e signori, se i dati vi vanno contro sarà mica colpa nostra?

Ok, ora che abbiamo fondato il Partito, prometto che dal prossimo post cominciamo con l'Econometria.

E se ci gira male, ci candidiamo anche alle elezioni. Tanto meglio del PD facciamo di sicuro. ;)



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