giovedì 18 marzo 2010

Analisi Econometrica e Analisi Tecnica

Allora, partiamo da lontano, e guai a chi si addormenta. Qualche anno fa (forse tre, ma potrei sbagliarmi) mi ritrovai nel bel mezzo di uno dei Comitati d'Investimento della banca per cui lavoravo al tempo. Una precisazione: per chi non lo sapesse, di solito questi comitati sono un concerto grosso di gestori anzianotti che russano come l'orso Onofrio di Nonna Papera. Tuttavia quella volta ci fu una rimarchevole novità. Il capo del desk delle gestioni patrimoniali venne da me e mi disse: "Caro collega, lei che ne pensa dell'analisi tecnica?". E io col basso profilo che da sempre mi caratterizza risposi: "Tutto il male possibile ovviamente, ma perché me lo chiede?". Da lì partì una disquisizione sul fatto che "purtroppo le nostre brave regoline non ci danno più le soddisfazioni di una volta, ahimè". E quindi cominciò ad illustrarmi il delirio di sovrapposizioni, incroci e diritti di precedenza vari che alimentavano le loro (una volta infallibili, a quanto pare) strategie. Bene, spesi oltre due ore nel tentativo di decifrare quel mare di discorsi, e alla fine gli dissi: "perché non cerchiamo di formalizzare queste congetture sull'efficacia di certi indicatori, come medie mobili e RSI ad esempio, in senso statistico? Cioè, formuliamo un modello che metta in relazione prezzo e indicatori e vediamo se esiste una qualche significavità statistica dei corrispondenti parametri". Lui non ne fu molto entusiasta, perché in cuor suo temeva che il crudele dato empirico sconfessasse una vita intera di convinzioni ferree. Io invece, come ho già avuto modo di dire nel post precedente, ero molto più sereno, forte del mio agnosticismo: cioè, gli spiegai, io non sto affermando affatto che troveremo inconsistenza statistica nel vostro modo di lavorare. Al contrario, pensavo ingenuamente che un'evidenza statsitica potesse aiutare anche la difesa di certi approcci nei confronti di un Direttore degli Investimenti incazzato come un muflone nella stagione degli amori. Su questa base nelle settimane seguenti sviluppai un semplice modello TAR (Threshold AutoRegressive) sul DAX (o sull'S&P500... e chi se lo ricorda) basato sull'RSI come variabile indicatrice e con due soglie: una a 30 e una a 70. Le quali soglie, mi era stato detto, erano considerate i livelli "critici" dell'RSI. Beh i risultati non furono entusiasmanti... con queste soglie. Non sembrava esserci tutta questa evidenza che le fasi di ipercomprato o ipervenduto, così come raccontato dall'RSI, influenzassero significativamente la performance del DAX. Ma una soglia posta uguale alla mediana dell'RSI (calcolata su tutta la finestra temporale disponibile) invece sì... e con grande stupore dei più (me compreso, che sotto sotto comunque continuavo a remare contro, per presunzione e formazione accademica). Quindi il modellino fu implementato ed è rimasto in vita con buona soddisfazione (il che non vuol dire equity line crescenti ripide senza volatilità: quelle si trovano soltanto alla Fiera di Rimini, ma su questo avremo modo di rtornare in più di un'occasione ;)) fino all'anno scorso... poi il cliente della gestione patrimoniale chiuse il mandato per comprare non so quale immobile a Londra e la cosa è morta lì... un vero peccato. Questo ad ogni modo era solo uno spunto per mandare il seguente messaggio: può esserci del valore in ogni tipo di approccio metodologico, ma l'econometria e la statistica sono solo degli strumenti per accertare la presenza (ad un certo livello di confidenza) di tale presunto (o preteso) valore. Quindi: nei poderosi libri di di Hamilton o di Greene non c'è nessuna pietra filosofale, solo una sfilza interminabile di conti ed equazioni, spesso difficili da digerire. Ai volenterosi il compito di adattare quel corpus formalistico alle proprie esigenze, o meglio alle proprie idee e al proprio intuito. Perché è l'intuito l'ingrediente di ogni strategia d'investimento: l'econometria, la probabilità, la finanza matematica sono solo strumenti per dare robustezza a un'idea, non per crearla di sana pianta. E scusate il grassetto, ma quando ci vuole ci vuole...
Su queste basi, ho cominciato a fare qualche studio sulla rilevanza statistica di certi indicatori tecnici quantitativi a fini di trading su base econometrica. In futuro, riprenderò in mano anche i TAR applicati all'RSI, ma per il momento volevo ammorbare i 10 lettori ancora svegli con un piccolo studio che ho fatto sulla possibile esistenza di cointegrazione fra l'indice FTSE MIB e le sue medie mobili (da quella a 5 gg a quella a 200). Da qualche parte qua sotto o qua sopra trovate il grafico delle relative serie storiche.








Ora, non avrete la sfacciataggine di chiedere a un misero statistico di estrapolare chissà quali conclusioni dagli incroci fra quelle simpatiche linee smussate, vero? Al massimo, io potrei vederci una possibile relazione di cointegrazione, il che merita sicuramente un approfondimento. Nella tabella sparsa da qualche parte in questa pagina, trovate i risultati. Utilizzando dati settimanali dal 31 Dicembre 2003, la procedura di Johansen ha individuato 5 vettori di cointegrazione. A titolo esemplificativo, riporto anche il grafico della combinazione cointegrante n. 1, ottenuta assegnando a ogni variabile l'opportuno peso rappresentato dai corrispondenti elementi del vettore di cointegrazione stesso. Come si vede, la dinamica mean reverting della serie così ottenuta è piuttosto promnunciata, e in effetti appare stazionaria anche a un semplice esame visivo. Questo ci conforta sull'accettazione dell'ipotesi di cointegrazione, ma a ben vedere sarebbe risultato molto strano se così non fosse: in effetti serie di prezzo e relative medie mobili sono tutte funzioni della stessa variabile, di qui la quasi certa cointegrazione (speriamo che nessun mio ex prof legga mai questo post sennò mi spedisce sulla Luna a calci, ma tant'è, ormai ci sono...). L'efficacia previsiva (in media) però è tutt'altro paio di maniche: esprimendo il modello cointegrato in forma ECM si possono effettuare previsioni out-of-sample del rendimento atteso del FTSE MIB a t+1 (cioè, nel nostro caso, per la settimana successiva) e impostare una regola di trading in base alla quale si assume una posizione long se il rendimento atteso è positivo, altrimenti si va short. Ora, è chiaro che si tratta di una regola naif, ma di solito la utilizzo per "tastare il polso al paziente". In altri termini: se c'è qualche valore in un modello di trading econometrico così concepito, dovrebbe emergere anche dall'applicazione di una sistema tanto semplice. Beh, andiamo al sodo: ho fatto un backtest (che non significa soldi reali, chiariamo subito), utilizzando l'ETF di Lyxor su una finestra out-of-sample che va dal 31/12/2007 fino ad oggi. Nel grafico a fianco, i risultati della strategia. Naturalmente una linea verde non significa nulla e la finestra di backtest è troppo breve per provare orgasmi finanziari ma, riportando un 65% di performance positive nella finestra, merita un ulteriore approfondimento... voi che ne pensate?

A presto.

MC




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