sabato 25 settembre 2010

Premi al rischio & Co.

Dopo molto tempo torno a infestare le pagine di questo blog con le mie elocubrazioni. Mi scuso per l'assenza, ma il tempo è sempre poco, e comunque mai abbastanza per quello che si vorrebbe dire (e, nelle mie intenzioni, condividere). Nell'ultimo post, oramai risalente a qualche mese fa, parlavo di come certe idee di Analisi Tecnica (quantitativa o almeno pretesa tale), a prima vista bizzarre assai, potessero essere riformulate in modo econometrico, così da poter essere rigorosamente testate dai dati empirici. E' esattamente per questo tipo di motivo che gli econometrici sono odiati dagli AT: sentirsi spiattellare che una MA a 200 gg non anticipa un beneamato cappero non deve essere una cosa bella. Però, prima di metterci soldi reali, non sarebbe più prudente avere qualche riscontro oggettivo, che faccia riferimento ai dati? Il problema non è l'errare: il problema è perseverare.


Fine del pistolotto. Potete rimettere in tasca l'accendino con cui stavate per darvi fuoco e, se avete due minuti di tempo, fare due chiacchiere insieme a me del Premio al Rischio (questo sconosciuto). Ora, se sperate di trovare in questo post indicazioni per terminare la vostra tesi di laurea in Economia Finanziaria, state freschi. Quello che vorrei fare è invitare i 10 lettori qua presente a riflettere sul fatto che non è salutare comprare stocks il cui rischio non viene adeguatamente ricompensato. Cosa intendo con questa espressione, dalla sorprendente banalità? Lo vedremo tra breve, ma ricordo che anche l'intuizione apparentemente più scontata, in finanza, necessita di una opportuna modellazione empirica. Altrimenti sono chiacchiere, e tornatevene pure alle medie mobili.

Scendendo dunque nel dettaglio, si consideri un modello CAPM standard del tipo:

R(t) = rf + Beta*[RMKT(t) - rf] + epsilon(t) (1)

dove R(t) è il rendimento di un titolo al tempo t, rf il tasso risk-free (ipotizzato costante, quindi non stocastico), RMKT il rendimento del mercato al tempo t ed epsilon il solito disturbo identicamente e indipendentemente distribuito, che almeno per il momento assumeremo gaussiano con media 0 e una certa varianza. Il valore atteso della (1) è dato da :

E[R(t)]= rf + Beta*E[RMKT(t) - rf] (2)

dalla (2) si capisce subito perché il Beta rappresenta l'esposizione al rischio di mercato.

Un semplice modo per testare il CAPM base sopra riportato consiste nell'aggiungere un'intercetta "alpha" alla regressione e testare la significatività della stessa: se il CAPM regge, tale intercetta non dovrebbe essere significativamente diversa da zero.
Bene. Come ormai sono anche alle bocciofile, il CAPM è un modello di equilibrio. Senza addentrarsi nel ginepraio di cosa questo significhi a livello di teoria economica, possiamo turarci il naso e affermare che, qualora valga il CAPM, il rendimento del titolo oscilla intorno alla quantità "rf + Beta*[RMKT(t) - rf]", distanziandosi da questa solo per brevi periodi e comunque esibendo la tendenza a ritornarvi nel lungo termine (vi piace mean reversion, termine che ora va tanto di modo? E vada per mean reversion va', oggi mi voglio rovinare...). Come si vede, è una definizione piuttosto intuitiva di "equilibrio", che dovrebbe mettere d'accordo un po' tutti, a parte la solita pletora di accademici che, ritengo, avrebbero molto da ridire, rettificare, aggiungere e modificare: ma noi, come sempre facciamo, ce ne sbattiamo allegramente e vai col liscio.
Faccio notare che la varianza del rendimento del titolo, condizionatamente a tutta l'informazione disponibile al tempo t, è data da:


Var[R(t)] = (Beta^2)*Var[RMKT(t)] + Var[epsilon(t)]


La prima componente è detta varianza sistematica e deriva al titolo dall'esposizione al mercato, la seconda è definita varianza idiosincratica o specifica ed è appunto peculiare del titolo. Queste varianze possono essere anche time-varying e probabilmente, trattandosi di stocks, lo saranno. La teoria afferma che, nell'ambito del modello CAPM, è possibile annullare solo la varianza idiosincratica (si può dimostrare costruendo un portafoglio di N titoli equipesati con N che tende a infinito), ma non quella sistematica (ndr, ringrazio Surcontre per avermi fatto notare un lapsus) . Ecco, qui il discorso si fa interessante per un investitore in carne e ossa, meno forse per un ricercatore. Io come potenziale stock picker cercherei di acquistare quei titoli che, per ragioni di inefficienza (legate al news-flow o ad altro) magari anche temporanea, sembrano offrire una remunerazione anche per il rischio specifico. Di conseguenza, il modello che formulerei potrebbe essere quello di un garch-in-mean con il mercato come variabile esplicativa, cioè:

R(t) = rf + alpha + Beta*[RMKT(t) - rf] + delta*sigma(t) + epsilon(t)

dove adesso epsilon ha una varianza esplicitamente GARCH e modellata come segue:

sigma2(t) = omega2 + a*[epsilon(t-1) - lambda]^2 + b*sigma2(t-1)

Si noti che:

  • ho considerato un GARCH asimmetrico, per tenere conto del fatto che empiricamente la volatilità pare rispondere più violentemente a news (cioè, epsilon) negative che positive

  • ho aggiunto l'intercetta alpha per testare l'eventuale presenza di un sovrarendimento non spiegato dal risk-free, dal rischio sistematico o dal rischio idiosincratico
Il gioco che ho fatto è stato stimare, tramite Quasi Massima Verosimiglianza, questo modello per 25 titoli dell'indice FTSE MIB usando i close price dal 28 Febbraio 2005 al 26 Giugno 2010 scaricati da Yahoo Finance. La stima del modello, disponendo di un buon numero di dati, non pone particolari problemi a chi smanetta ad esempio con MatLab (io personalmente l'ho eseguita con un mio codice "autoctono" C#), a parte qualche potenziale difficoltà di identificazione strutturale tra alpha e delta, ma non vi tedierò oltre con queste quisquilie (si fa per dire) econometriche. E' più utile invece cercare di dedurre le implicazioni del modello, e il mio consiglio è sempre lo stesso: prima di farsi abbagliare dal miraggio di facili successi bisogna sempre chiedersi se c'è buon senso nell'impianto teorico che si è messo in piedi. A questo proposito, cosa dice l'equazione del rendimento del titolo? Vediamo in dettaglio:

  • al titolo è richiesto di remunerare il risk-free (prima componente);

  • il titolo può generare extra-rendimento (alpha);

  • il titolo deve ricompensare l'investitore per l'invetsimento al mercato (fattore sistematico)

  • il titolo può godere di una compensazione aggiuntiva per il suo rischio specifico, qualora le dinamiche di mercato non siano sufficienti a remunerare l'investitore con il solo fattore sistematico
Di seguito riporto i risultati per i titoli che mostrano una sensibilità significativa al loro rischio specifico (cioè, il cui t-ratio associato è maggiore di 1.64):












I titoli riportati dunque compensano in media l'investitore anche per la volatilità idiosincratica che li caratterizza. Se il modello dunque è ben specificato (e ben stimato), il raziocinio dovrebbe spingere un investitore prudente (a l quale sia venuta la malaugurata idea di comprare azioni!) di inserire in portafoglio questi stocks, perché il loro rendimento incorpora un premio al rischio specifico. Si tenga presente che il modello, così com'è formulato, non è in grado di fornire previsioni per il perioso successivo, perché a tal fine servirebbe un modello previsivo anche per il mercato (cosa che in realtà ho già implementato, ma se non distillo i risultati mi sa che i lettori da 10 diventano -4). Per questa ragione non ho ancora testato una strategia out-of-sample basata sulla previsione dei rendimenti attesi. D'altronde, ve l'avevo pur detto che il tempo è poco e tiranno, no? Tuttavia, spero almeno di avervi messo qualche pulce nell'orecchio, che stimoli la vostra curiosità e, ovviamente, intraprendenza.


A presto (ma non garantisco eh...)!

2 commenti:

  1. Complimenti per il blog, ottima iniziativa. Spero continuerai.
    Era tempo che qualcuno riuscisse a sposare le intuizioni tipiche dei cultori dell'AT con il rigore statistico che più rigore non si può.

    Ora vengo a due microscopici appunti a questo interessante intervento:

    1. La MM a 200 giorni (o quella a 40 settimane, o quella a 10 mesi) qualcosa anticipa: se provi sugli ultimi 100 anni di dati del Dow le settimane precedute da rendimento medio positivo delle ultime 40 settimane, mostrano un rendimento medio di +0.2% (sd 2.01%), se precedute da una media negativa mostrano -0.01% (sd 3.09%).
    Una cosa simile, anche se con minor potere discriminante, sembra accadere su buona parte degli indici azionari, delle commodities, delle valute e dei bond di tutto il pianeta.

    2. Nel passaggio in cui tratti il rischio sistematico e quello specifico credo tu abbia inavvertitamente rovesciato i due termini, essendo il rischio idiosincratico quello eliminabile attraverso il processo di diversificazione.

    Buon lavoro e grazie.

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  2. Ciao, e grazie per ilcommento.

    1) Il riferimento alle MA era generico, non intendevo riferirmi specificamente a quella a 200 gg. Era solo un modo per allertare circa la fallacità di procedere senza metodo o per sentito dire (da chi poi raramente si sa...). Riguardo la contenuto del tuo msg, non esito a crederti. Probabilmente, di variabili che negli ultimi 100 anni avrebbero anticipato il Dow ce ne sono a iosa, incluse probabilmente l'inflazione coreano e il tasso a breve cingalese: il problema è che di solito tutto ciò si scopre sempre "dopo". Quando il data snooping si sposa con le correlazioni spurie, è un vero Armageddon. Ovviamente è solo la mia (im)modesta opinione.

    2) Ovviamente HAI RAGIONE, e chiedo venia per il lapsus. Provvederò a correggere subito. Ti esorto a tornare quanto prima sul blog, fa piacere trovare persone non solo interessate, ma soprattutto attente.

    Grazie ancora e a presto!

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