martedì 9 novembre 2010

Che cos'è una previsione?

Cari 10 lettori, tenetevi forte che stiamo per addentrarci in un ginepraio non da poco. La domanda del titolo ci spinge immanenti in un terreno impervio, in certi aspetti simile a certe dispute medievali sul sesso degli angeli: che dire, speriamo di avere maggior fortuna. Ho riflettuto a lungo prima di pubblicare questo post, chiedendomi se e quanto potesse essere utile. In fondo, ho da portare solo il contributo della mia personale esperienza e spesso, mio malgrado, mi sono trovato a recitare la parte di colui che rompe le uova nel paniere altrui (e magari fossero solo le uova). Quindi, per quanto non mi piaccia un granché, sarò un'altra volta coerente con questo personaggio, e cercherò di spiegare cosa dovrebbe essere inteso per previsione. Dico dovrebbe, perché di curiose congetture intorno a questa parola se ne leggono a bizzeffe, sui blog di finanza (anche sul più famoso italiano). Purtroppo, per accostarsi a certi concetti senza correre il rischio di dire sciocchezze, occorre sgomberare il campo dagli equivoci. La previsione è un concetto eminentemente statistico, e di qui non si scappa: mi dispiace per i fan del mago Otelma, ma ogni interpretazione differente da questa è un biglietto di sola andata per il mondo dei tarocchi e delle sedute spiritiche. Il che può anche essere divertente, ma ahimè non profittevole, specie per un trading consapevole e razionale.
La previsione non è mai un numero unico: si è portati a credere questo perché la gente è abituata a ragionare "in media" e ha bisogno di statistiche riassuntive rapide, su cui ha una diretta sensibilità e riscontro. E quindi l'ISTAT, la Banca d'Italia e compagnia bella rilasciano il dato del tasso di disoccupazione, della produzione industriale ecc., a cui però illettore attento dovrebbe sempre far seguire l'aggettivo "media". In sostanza, quello che viene diffuso (o per meglio dire, spacciato) come previsione è in realtà soltanto il valore medio del fenomeno che si vuol descrivere. Perciò, viene da chiedersi, trattandosi di media non è che alle volte qualcuno nasconde (magari per non spaventare i meno attrezzati sul piano tecnico) una distribuzione di probabilità vera e propria? Risposta esatta. Ecco che quindi la previsione è una distribuzione di probabilità: che si applichi ai rendimenti del FTSE MIB o alla produzione di latte in Emilia Romagna fa poca differenza concettualmente (metodologicamente ne fa eccome, come purtroppo sanno gli analisti finanziari). Quando viene comunicato un singolo numero di forecast, si sta tentando in realtà di riassumere un'intera distribuzione: il che, se la variabilità della stessa è limitata, può anche avere un senso. Ma se non è questo il caso, può essere invece decisamente fuorviante. Implicazioni per il trading? Troppe, e tutte molto delicate. Diciamo che una strategia semplice, tipo andare long su titoli che in base a qualche modello hanno rendimento atteso positivo, può esporre a rischi difficili da quantificare ex ante. Occorrono quindi dei correttivi, che sfruttino informazioni deducibili dall'intera distribuzione dei rendimenti attesi: non esiste una regola aurea (e se esistesse col cavolo che la scriverei su un blog), ma a naso direi che conta l'esperienza, la sensibilità e la lucidità dell'analista. Ok, qualche personalissimo suggerimento: utilizzare l'Info Ratio al posto del brutale rendimento atteso potrebbe aiutare, così come classificare i titoli in base alla probabilità (ricavabile dalla distribuzione dei rendimenti attesi) che sul periodo di forecast gli asset perfomino oltre un certo threshold. Oppure, costruire un portafoglio secondo un predeterminato criterio e calcolare il VaR ex ante, per farsi un'idea a priori di quanto capitale si sta mettendo a rischio e con quale probabilità.

Insomma la scelta è ampia e per questo difficile. Nella mia esperienza di econometrico applicato "prestato" dall'accademia ai desk, ho imparato, ahimé spesso sulla mia pellaccia, che, invece del modello perfetto (un'entità teorica affascinante, ma che esiste solo nella testa di qualche ingenuo), bisognerebbe ricercare il miglior modo di utilizzare modelli inevitabilmente imperfetti. E' chiaro che lo scopo resta sempre quello di minimizzare l'imperfezione, o renderla il più possibile innocua, ma senza illudersi che l'incertezza delle distribuzioni dei rendimenti attessi collassi a zero. Questo è un modo astruso e tremendamente rozzo di intendere la statistica, che al massimo serve per abbindolare una schiera di pollastri su qualche, pur rinomato, blog.

Stay tuned!

3 commenti:

  1. Premessa,quando leggo i tuoi post ,riesco a mettere i tasselli del mio puzzle "forma mentis",al posto giusto :-).
    *)l'info ratio non so cosa sia, se puoi spiegarlo mi daresti del nuovo learning.
    *)riguardo la costruz di un portafoglio oltre al Var impiegherei anche ES.
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    Attendo fiducioso per Info Ratio!

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  2. Ciao francesco, allora nell'ordine:

    1) L'Info ratio e è il rapporto fra rendimento atteso e standard deviation dei rendimenti di un titolo; occhio che alcuno lo chiamano Sharpe Ratio, ma per me lo Sharpe Ratio è: (Rend. Atteso - risk-free)/sigma

    2) D'accordissimo sull'ES, il riferimento al VaR era solo uno spunto "iniziale"

    Ciao!

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